cura di Loredana Rea
cura di Loredana Rea

Teresa Pollidori
Anagni – Monte Frumentario dal 2 al 26 luglio 1998
 
 
 
Immagini Notturne
Loredana Rea
 
La notte mostra il suo volto umbratile e mutevole, talvolta terribile nell’incertezza della vaga luce della luna, che scorre via lieve sfiorando le forme o che indugia e si mescola vischiosa alla materia per diventarne il cuore.
L’oscurità confonde i sensi e la ragione per svelare e rivelare un mondo diverso, impenetrabile agli sguardi superficiali, perché più prossimo allo spirito e all’anima. Un mondo in cui la pienezza del vedere è posseduta solo da chi sa discernere che nell’oscurità ogni cosa, pur apparendo diversa, rimane sempre uguale a se stessa e, anzi, proprio nella diversità afferma la propria appartenenza e le ragioni della sua esistenza.
Nel buio della notte, materializzazione del muto dialogo tra visibile e invisibile, tra razionale e irrazionale, tra opacità e trasparenza, quando gli strumenti della quotidiana conoscenza hanno perso ogni valore, perché tutto tra illuminazione e occultamento sembra inesorabilmente diverso, si comprende che quel mondo, che appare sconosciuto, è il rispecchiamento di una dimensione   interiore. Si riscopre l’originaria unità tra l’individuo, la realtà fenomenica e la vastità del cosmo. Nel sé si riconosce l’altro da sé, attraverso un processo di intuizione profonda e immediata, inteso come possibilità di andare oltre. Oltre i limiti imposti. Oltre la realtà di ambigue prospettive, di effimere apparenze, per conoscere le leggi primigenie sulle quali si ordina l’incomprensibile articolazione del quotidiano, per prendere consapevolezza del vissuto personale e collettivo, della realtà profonda della vita e delle cose.
Seguendo le labili tracce, che il buio della notte cela e un bagliore svela, si cercano le risposte alle tante domande senza risposta, per placare i dubbi e le incertezze e, soprattutto, per comprendere le ragioni più vere dell’esistenza.
Quando lentamente una coltre scura copre ogni cosa, tutto perde il suo quotidiano aspetto, trasmutandosi in altro. Le ombre prendono corpo. Le tenebre alla debole luce della luna si animano di forme sconosciute, dalla morfologia incerta.
E dal buio profondo, che occulta in una dimensione onirica e animica la coscienza della totalità, emergono improvvise immagini misteriose, enigmatiche materializzazioni di archetipi e memorie ancestrali.
A queste immagini, generate dalle viscere oscure della notte arcana, intesa come luogo mitico, al di là del tempo, Teresa Pollidori dà corpo, facendole diventare il centro della pratica artistica, intesa come strumento privilegiato di indagine e conoscenza.
Sono tracce ctonie della stratificazione del tempo, di mitologie primordiali, di dimenticate ierofanie, immagini perdute nell’insondabile profondità del substrato inconscio collettivo, che attraverso il processo di rituale esorcizzazione rappresentato dall’arte affiorano tra le ombre notturne. Sono simulacri minimali di un arcaico culto misteriosofico, sono erme di una solennità evocativa e allo stesso tempo visionaria, realizzate con legno, rame e materiali plastici, che sostituendo il marmo creano superfici opache, talvolta levigate talvolta corrugate, su cui la luce scivola via lentamente, dopo averle accarezzate con voluttuosa dolcezza. Sono sculture, altorilievi, che instaurano con lo spazio un dialogo intenso, un dialogo costruito sul continuo slittamento tra rarefazioni e sublimazioni della materia e del vuoto, intesi sempre come elementi di una imprescindibile complementarità. Sono raffinati reperti archeologici di una classicità artefatta, tracce emblematiche di un percorso iniziatico. Un percorso che oscilla continuamente tra ghenos e thanatos, tra ritualizzazione della morte e celebrazione della vita.
Quelle che Teresa Pollidori materializza con straniante sagacia sono, quindi, immagini oscure e allo stesso tempo familiari, di una familiarità alienante, che da una parte suggerisce l’esistenza di profondi legami con quella realtà che la luce del giorno fa apparire nella sua pienezza e dall’altra la nega. La nega per mostrare la totalità di un luogo panico, luogo dello spirito e non della geografia, che si manifesta attraverso una ritualità complessa, primigenia, che è pratica di superamento e sconfinamento e possibilità di comprensione piena e immediata.